Lo spazio privato del bambino sano
di Elda Cellini
Lo spazio privato
Ogni bambino ha bisogno di uno spazio privato. Solo così fa esperienza del suo mondo interno separato da quello altrui. Si tratta di una caratteristica della psiche infantile che è stata notata a più riprese da analisti di grande valore come Margaret Mahler, Donald Winnicott, Masud Kahn, Bruno Bettelheim.
Creare uno spazio privato, dal quale ogni altro essere umano – e soprattutto un adulto – sia escluso, è un passo necessario dell’individuazione personale, cioè della costruzione della propria singola identità. Nella fase di creazione e fruizione della funzione psicologica di individuazione, il bambino dialoga con se stesso, mette in ordine le memorie delle proprie esperienze, spesso trasformate in presenze fantastiche, compone e integra il proprio Sé. Si tratta di un processo introspettivo creativo che non riguarda solo il bambino introverso, ma qualunque bambino. Esso segnala l’emergere di un bisogno innato, quello di saggiare l’armonia intrinseca del proprio Io e il suo peso specifico in rapporto alla formazione dell’identità.
Nel costruire il suo spazio privato il bambino vuole sapere che la fonte del proprio benessere e la guida della propria vita gli giunge dall’interno, dal concerto piacevole degli organi di senso, delle emozioni, delle fantasie, non da un mondo esterno esigente e talvolta persecutorio.
Una piccola paziente
Una volta, una mia piccola paziente di quattro anni mi chiamò per farmi vedere una sua “opera”. Mi ero intrattenuta qualche minuto a parlare con la madre in una stanza attigua e la bambina mi raggiunse e mi tirò per la manica. Nella nostra stanza di psicoterapia, sopra la spalliera del divano, aveva poggiato tante bamboline, una accanto all’altra, e ora mi mostrava con orgoglio, ma anche con una certa “attesa”, la sua bella costruzione. Lì per lì pensai che volesse solo attirare l’attenzione su di sé e che le bamboline rappresentassero lei stessa in attesa che io tornassi a farle compagnia. Solo in un secondo momento compresi che il significato di quella costruzione era più sottile e complesso. Nel mostrarmelo la bambina voleva dirmi che mentre io parlavo con la madre, lei era riuscita finalmente a costruire il suo spazio privato, a definire con esattezza il proprio Sé.
In altri casi osserviamo bambini che si ritirano assorti nei loro giochi. Costruiscono coi pezzi Lego o disegnano sui fogli di carta. Lo fanno in silenzio, assorti. In questi casi lo spazio privato è già acquisito, infatti è anche inutile la sua presentazione all’adulto. Nel caso citato, la mia piccola paziente aveva voluto mostrarmelo perché io ne godessi e lo approvassi. Era questa la sua “attesa”: che io, la sua terapeuta, cioè la sua madre vicaria, in presenza e in contrapposizione con la sua madre biologica, lo vedessi, lo capissi e lo accettassi con gioia. Grazie a quello spazio, la bambina si stava salvando dalla intrusività violenta che gli adulti avevano manifestato nel corso della sua vita.
Lo spazio privato nel mondo attuale
Nel periodo storico attuale la costruzione di uno spazio privato è perlopiù inibita al bambino: genitori intrusivi o abbandonici, ambienti familiari freddi e talvolta caotici, istituzionalizzazione precoce negli asili nido, obblighi formativi di ogni tipo, poi in seguito maestri invasivi ed esigenti… Nell’attuale visione del mondo, il bambino deve saper socializzare anche quando non gli va, essere sempre leggero e allegro, leggere e scrivere prima degli altri, o almeno quando lo fanno anche gli altri, reggere alla solitudine prolungata quando è a casa; poi, apprendere più lingue, fare molti sport, competere e vincere e, soprattutto, non essere di peso per i genitori. In questo modo non fa mai esperienza di affidarsi alla base sicura(come la chiama Bowlby) di un adulto comprensivo e non invasivo, che è presente senza mai forzare il suo sviluppo psicologico. Al contrario, la necessità psicobiologica di maturare un Sé separato e autonomo, accettato dal mondo adulto, viene coartata e talvolta distrutta.
Il nostro primo dovere come psicoterapeuti dell’infanzia e dell’età evolutiva è consentire al bambino di ricostruire questo ambiente privato dove fare esperienza dei suoi desideri, delle sue emozioni, delle sue fantasie. Ed educare i genitori al rispetto di questa imprescindibile necessità.
Le intrusioni degli adulti
C’è un modo di essere in presenza di un bambino che è profondamente sano, ma trascurato: il bambino è solo e gioca, l’adulto è presente, ma allo stesso tempo assente, è impegnato nei suoi affari. Due solitudini si tengono compagnia. Nessuno dei due è veramente solo. Per raggiungere questo stadio di solitudine sana, che Nicola Ghezzani chiama solitudine essenziale (Le eclissi dell’anima, 2016), il bambino non deve mai aver subito “violenze” da parte del mondo adulto. L’adulto intrusivo, che invade lo spazio psicologico del bambino con stimoli, richieste, ansie, prescrizioni o lo frustra con ritiri affettivi improvvisi, impedisce al bambino di raggiungere questo stadio di autonomia “sicura”, senza vera perdita dell’altro.
Oggi il bambino viene “addestrato” sin da piccolissimo a stimoli intrusivi da parte della madre ansiosa, alla socializzazione forzata dei nidi, a percorsi di apprendimento che anticipano le normali fasi di sviluppo cerebrale, generando frustrazione, a crescenti richieste formative. Questo bambino ha solo due vie di sviluppo, entrambe patologiche: diventa remissivo e maschera una depressione latente oppure diventa difficile, reattivo, iperattivo, aggressivo, talvolta distruttivo. E si ottiene l’effetto opposto a ciò che si cercava: si verifica un ritardo nello sviluppo cognitivo e emotivo.
Nel mio lavoro di psicoterapia dell’età evolutiva ho incontrato molti bambini di entrambi i generi. Il lavoro da effettuare con loro è lungo e delicato e i genitori devono essere buoni collaboratori. Se no, il prezzo che si paga è enorme.