il labirinto 2

Il labirinto (seconda parte)

di Nicola Ghezzani

Teseo e Arianna

il labirinto 2

Teseo

Dove altro porre il mio centro

se non sulla nave attraccata al molo

che attende il mio segnale, alto contro

il vento, per riprendere il volo?

Nello sciogliere gli ormeggi e le vele

è il centro: andare da uno spazio chiuso

(dove le carezze ormai come le chele

d’un granchio mi tengono recluso)

fino al sogno che buca l’orizzonte.

Nel solcare la potenza delle onde

è il centro, verso la casa dove il padre

m’attende, e nel sentire il suo dolore.

Per te che mi lamenti perso, padre,

io solco l’immenso oceano d’amore.

Arianna

Che abissale follia tradire l’amore

d’un padre per l’amore d’un uomo

giunto da lontano: il suo cuore

nascosto era come l’abisso del mondo.

Nemmeno l’orrore d’assassinare

il fratello infelice fu crudele

quanto il suo cuore, intento ad armare

la nave che dormiva alla fonda

come una serva stanca. Lo amai

d’un amore assoluto, come un dio,

Dioniso oscuro dal cuore profondo.

Ma tremendo come l’abisso del mondo

fu allora il suo cuore. Fu il suo oblio,

fissandomi muto, a incutermi terrore.

Teseo

L’ardire ebbi di scender nell’abisso

fra le spire voluttuose del serpente

di pietra fin dentro il nero fosso

tenebroso, dove un orrido niente

urlava fra le fauci di mostro

piangente una frenesia avida

di distruzione. Innanzi al suo rostro

informe posi il mio sguardo, che navi

leggere baciate dal vento e cariche

di gloria avevan temprato d’azzurro.

Lo intravidi nel suo delirio arido

come le rocce dell’isola o la terra

funesta di là dai mari. Fui mosso

al delitto da un’oscura compassione.

Arianna

Non tenni conto del suo orgoglio

quando l’avvolsi nella mia tunica

leggera e lo invitai oltre la soglia

del mio cuore. L’esser l’amata figlia

d’un re non fu un ostacolo all’amore,

e lo credetti vero. Vidi la grazia

in lui dell’eroe, del futuro signore

d’un regno vicino agli dei. Ma un mezzo

sangue egli era, che univa il mare

al cielo, e non altro che tenebra

rossa sognava versare dell’oscuro

mostro, fluente dalle sue vene

come un miasma putrido e impuro.

Lo uccise, e mi uccise, per la sua Atene.

Teseo

Sentivo la noia delle antiche pietre

nella città ove regnavano stranieri.

Vedevo rocce, boschi e informi

cimiteri e fuori e dentro il segreto

delle mura ponti sopra il vuoto

e quell’immenso, grigio, cieco mare

che emergeva dall’istmo come un sogno

e scatenava una tempesta di violenza

e la coscienza di dover andare.

Fra i flutti opachi, piena di speranze

correva come un segno del destino

l’inquieta traccia d’una sola rotta.

Mia era la brama d’uccidere

il carnefice, il mostro, l’assassino,

l’emblema della nostra umiliazione.

Figlio del mare, al largo era la sorte,

più forte d’ogni donna e della morte.

Arianna

Mio dio, immenso Dioniso, è tempo.

Ebbi sete di te, come dell’amore

che mi lasciò quaggiù, fra rocce e sassi.

Portami all’ombra d’un bosco, dove io

possa riposare, e lascia libere

le onde di vagare a lungo insonni

da un lato all’altro dell’orizzonte.

Riempimi del tuo volere, e un giorno

concedimi di tepore, che il frutto

che serbo in seno giunga a maturare.

Spremi dell’uva gonfia che mi doni

la sognante ebrezza, l’ultimo sapore.

Io che non ho casa, so che non l’avrò.

Io che sono sola, so che languirò –

che sarò sola per il resto della vita.

Prendimi. Il tuo abbraccio è un’ombra

immensa. Il tuo amore è la magica

potenza che mi trascina da questo

duro nulla a confondermi con te –

a trascendere in un dio la sua assenza.

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