Gaming disorder: la solitudine dell’adolescente digitale

di Alessio Esposito

Il tema dell’abuso degli strumenti digitali e della condizione di ritiro e isolamento che ne deriva, è recentemente tornato all’ordine del giorno in ragione del prossimo aggiornamento dell’International Classification of Diseases (ICD), che giunge alla sua 11esima edizione.

Difatti, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) intende includere il Gaming disorder (GD) tra i disturbi psicologici dovuti a comportamenti di dipendenza. I requisiti che permetterebbero di formulare la diagnosi di GD, secondo l’OMS sono: 1) la perdita del controllo sull’attività di gioco; 2) la crescente priorità data all’attività di gioco, a discapito delle altre attività quotidiane, private e sociali; 3) il persistere nell’attività anche quando si verificano conseguenze negative per la salute del giocatore.

Il GD comporterebbe inoltre una progressiva compromissione nelle aree di vita personale, familiare, sociale, scolastica e occupazionale. L’attività di gioco si può svolgere online o offline, in modo continuativo o episodico. È necessario, infine, che tale comportamento si manifesti nell’arco di almeno dodici mesi o per un periodo più breve, nel caso in cui i sintomi siano di particolare severità.

Attraverso la definizione della nuova categoria diagnostica, l’OMS ha isolato una fenomenologia clinica già parzialmente descritta da Ivan Goldberg, che negli anni novanta aveva definito il concetto di “dipendenza da internet” (IAD: Internet Addiction Disorder) descrivendo sintomi quali: il bisogno di trascorrere una quota sempre maggiore di tempo connessi alla rete; la riduzione dell’interesse per attività differenti da quelle svolte in rete; il manifestarsi di stati di agitazione psicomotoria, depressione, ansia e pensieri ossessivi su cosa accade in rete, indotti dalla sospensione dell’attività online; il persistere nell’uso di internet nonostante le conseguenze negative per la salute personale 1

Sempre nell’ambito degli studi sull’IAD, Kymberly Young ha distinto diverse tipologie di dipendenza 2, riconoscendo tra queste la Net-Compulsion, che comprende la dipendenza da giochi d’azzardo e le attività ludiche che inducono il giocatore a spendere cifre sempre maggiori di denaro su siti specializzati, e la dipendenza da Giochi di ruolo online, per cui i giocatori devono trascorrere sempre più tempo connessi per far progredire una storia e potenziare il proprio avatar.

Nel GD sono comprese anche le attività che il giocatore svolge offline, mentre gli studi sull’IAD avevano messo in primo piano l’elemento della connessione alla rete. Di fatto, oggi, quasi tutti i dispositivi possono connettersi alla rete e la gran parte dei software prevede le due modalità di gioco, offrendo al giocatore la possibilità di differenziare la sua esperienza: egli può entrare in un mondo virtuale condiviso con altri giocatori nella versione online o può vivere una storia in modo individuale nella versione offline.

Che sia connesso alla rete o disconnesso, il gamer patologico va incontro a un’esperienza dissociativa che si costruisce attraverso:

  • L’anestesia del corpo: egli è direttamente connesso al gioco tramite un supporto fisico, uno smartphone o un controller, che in alcuni casi parla al giocatore emettendo suoni e vibrando nelle sue mani; gli occhi ricevono segnali dal monitor e i suoni giungono alle orecchie provenendo da diverse direzioni; il giocatore sente ciò che sente il suo avatar;
  • L’alterazione dell’esperienza temporale: il tempo del gioco non corrisponde al tempo sociale, tuttavia quando il giocatore entra nel corpo dell’avatar egli entra anche nel suo tempo, che si sostituisce all’altro imponendo nuovi ritmi vitali;
  • La sedazione emotiva: il mondo virtuale diventa un rifugio in cui ritirarsi quando i vissuti di angoscia diventano insopportabili, e l’intero apparato di gioco agisce sul sistema psichico della persona come una sostanza dopante.

Per tutta la durata della sessione di gioco il giocatore è in uno stato di rêverie, in cui sembra telecomandato a distanza. Spesso i sintomi dispercettivi perdurano anche a sessione conclusa, come se frammenti dell’identità virtuale si fossero annidati nella psiche soggettiva, che è come dopata: illusa in un vissuto alterato di maggiore benessere, potere, energia.

È questo habitus mentale che deve essere investigato, perché costituisce la chiave di comprensione della sofferenza che fa da sfondo al comportamento di dipendenza.

La dialettica del GD

Il gaming disorder è trattato come un disturbo dei giovani e in particolare degli adolescenti. Tuttavia l’esperienza di gioco è sempre mediata da uno strumento digitale e oggi tutti siamo connessi per la maggior parte del tempo attraverso dispositivi fissi e portatili. Questa condizione antropologica di iperconnessione, che è ormai considerata normale, è funzionale alla riproduzione di una società consumistica, in cui sia le informazioni che i beni devono circolare rapidamente, nel tempo di un clic. Il dato paradossale è che nonostante tutti abbiamo a portata di mano strumenti di comunicazione, nella società contemporanea il dialogo e i rapporti sociali sono gravemente impoveriti: le persone sono connesse alla rete, ma non fanno rete. 3

La condizione di isolamento e di ritiro sociale, segnalata nel dibattito sul GD come pericolo per i giovani, è in realtà diffusa anche tra gli adulti, seppure raramente sia avvertita come un problema. D’altronde, coerentemente con l’ideologia sociale dominante, si affermano modelli di vita che incoraggiano al disimpegno dai legami sociali in favore dell’autorealizzazione e del successo individualistico.

La società contemporanea è una società di prestazione. Sono vincenti coloro i quali producono, consumano, appaiono, condividono di più. I perdenti, quelli che non si adeguano o che soffrono quest’ordine sociale, sono tagliati fuori, sospinti ai margini da un’onda invisibile e inarrestabile.

L’angoscia di fallire si accompagna a un opaco sentimento di solitudine, che è percepito, ma non è mai colto. Ne soffrono in particolare gli individui più vulnerabili e maggiormente esposti a pressioni normative: bambini, fanciulli e adolescenti.

Specialmente questi ultimi, che attraversano una stagione della vita segnata dal conflitto e dall’angoscia, sono esposti al rischio di sviluppare una psicopatologia. L’adolescenza si configura come periodo drammatico di rielaborazione identitaria, animato dal conflitto tra i legami di dipendenza (che soddisfano il bisogno di appartenenza) e il desiderio di affrancarsene per conquistare una maggiore autonomia (che è alla base del bisogno di individuazione).4 La dipendenza patologica è uno dei possibili “esiti maligni” 5 della ricerca di una soluzione all’angoscia di colpa per il tradimento dei legami affettivi, al senso d’inadeguatezza, alla solitudine. 6

Alla luce di queste considerazioni possiamo interpretare il GD e l’habitus mentale implicato (illusione di benessere, potere ed energia in seguito ad un’esperienza dissociativa e desensibilizzante) come una correzione psicopatologica all’angoscia di non essere adatto e, per questo, di essere scartabile. La controparte dialettica di questo stato psicologico implica desensibilizzazione, perdita d’interesse verso la vita, iperattività, disturbi dell’attenzione, difficoltà nel prendere decisioni, demotivazione, anedonia, depressione.

In alcuni casi, quando l’individuo o le persone intorno a lui riconoscono che qualcosa che non va, questa condizione è percepita come patologica e si cerca una soluzione terapeutica. Altre volte i sintomi sono ignorati o silenziati attraverso correzioni psicoeducative o farmacologiche; si innesca un processo di abbandono, il giovane è solo con se stesso, privo degli strumenti necessari per trasformare questa condizione di solitudine in una ricerca personale di senso.

Connessioni terapeutiche

L’intervento psicologico dovrebbe coinvolgere il giovane e i suoi familiari.

Al primo, dovremo svelare la logica paradossale del gioco compulsivo: l’esperienza dissociativa offre un sollievo alla sofferenza psicologica ma contemporaneamente lo priva della sua sensibilità. Lontano da se stesso e dai suoi reali bisogni egli è soggetto a una sofferenza di entità ancora maggiore. La sensibilità, percepita a livello soggettivo come fonte di dolore e segno d’inadeguatezza, dovrebbe essere invece riscoperta come una dotazione preziosa: è l’arma che egli può usare per individuarsi e per costruire rapporti di qualità.

L’adolescente vede il mondo come un prodotto oggettivo e immodificabile, trascura che questo si è costituito storicamente e che è soggetto a cambiamento. Sarà nostra cura trasmettere il messaggio che l’adattamento e il passaggio all’età adulta può essere un processo creativo, di pieno sviluppo della personalità e dei rapporti affettivi.

In famiglia, la nostra funzione sarà quella di tradurre il disagio di un membro in un linguaggio capace di evocare risonanze sistemiche e di rimettere in moto risorse bloccate. Se il gruppo è vigile, la solitudine può diventare una condizione esistenziale feconda. L’obiettivo è creare connessioni empatiche intergenerazionali.

Riferimenti bibliografici

Anepeta L., Adolescenza maligna, Nilalienum Edizioni, Roma, 2016;

Ghezzani N., Crescere in un mondo malato. Bambini e adolescenti in una società in crisi, Franco Angeli, Milano, 2004;

Han Byung-Chul, Nello sciame. Visioni del digitale, Nottetempo, Bologna, 2013;

Tonioni F., Corvino S., Dipendenza da internet e psicopatologia web-mediata, in Recenti Progressi in Medicina, 2011, 102, pp. 417-420.

Scrivi ad Alessio Esposito

  1. Si veda Tonioni F., Corvino S., Dipendenza da internet e psicopatologia web-mediata, in Recenti Progressi in Medicina, 2011, 102, pp. 417-420.
  2. Ibidem
  3. Sull’argomento, si veda in particolare Byung-Chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale, Nottetempo, Bologna, 2013
  4. Si veda Ghezzani N., Crescere in un mondo malato. Bambini e adolescenti in una società in crisi, Franco Angeli, Milano, 2004.
  5. Si veda Anepeta L., Adolescenza maligna, Nilalienum Edizioni, Roma, 2016.
  6. Si veda Ghezzani N., op. cit., in particolare pp. 89-110.