L’adolescente, crisi per il suo mondo

di Alessio Esposito

Nell’intervento psicodialettico con l’adolescente, dovremmo sempre tenere aperta, in ragione della condizione di dipendenza dalla famiglia, la possibilità di svolgere parte del lavoro con i genitori.

Quando un ragazzo soffre, sono di solito i genitori che cercano per lui un aiuto professionale. Di solito i ragazzi segnalano, anche inconsapevolmente, il loro disagio introducendo elementi di conflitto nel rapporto con i genitori o con i fratelli. Se i genitori intuiscono il disagio e le risorse della famiglia non sono sufficienti per superarlo, probabilmente nascerà proprio da loro l’idea di cercare aiuto fuori dalle mura domestiche. Ciò tuttavia non significa che siano anche disponibili a coinvolgersi in un rapporto terapeutico, tanto più quando è percepito come minaccioso nei confronti di un equilibrio esistenziale che fino a quel momento ha garantito la sopravvivenza del sistema.

Sta a noi valutare se vi siano le condizioni per proporre un lavoro con il gruppo o se sia più indicato lavorare individualmente con il ragazzo, magari pianificando incontri periodici con i genitori. In ogni caso sappiamo che avremo una percezione più chiara del disagio dell’individuo se sapremo contestualizzarlo nella sua dimensione sistemica. In psicologia dialettica possiamo farlo anche lavorando con la singola persona, la cui soggettività è sempre osservata alla luce delle sue coordinate storico-sociali.

L’analisi del “familiare” è imprescindibile, tanto più se consideriamo il dramma che vive l’adolescente in relazione ai suoi compiti di sviluppo. Infatti, mentre l’adolescente cresce e conquista la sua identità di adulto, sente di tradire il mondo sociale che sino a quel momento si è preso cura di lui. Per questo sperimenta un’angoscia di colpa che può essere intensa al punto da bloccare lo sviluppo della sua personalità. Riporto una citazione dal libro Crescere in un mondo malato:

«L’adolescenza è il tempo della seconda nascita, quella della psiche che esce dall’utero della compiacenza e della dipendenza per divenire luogo speculare dell’appartenersi, del conquistare la propria identità. Per farlo, l’adolescente deve separarsi dal luogo delle origini […]. La separazione e dunque il tradimento (dal latino tradere, condurre, sottinteso “condurre al nemico il proprio simile”, dunque portar via se stesso da un affetto ad un altro, dal un luogo a un altro, da un sistema di valori a un altro) sono il suo amaro pane quotidiano, il suo calice di pena. Il tradimento e l’abissale l’angoscia di colpa sono due aspetti del medesimo processo, intrinseci l’uno all’altro come i due volti della luna» (Cfr., Ghezzani, 2004, p. 109).

L’autore scrive che l’angoscia di colpa segnala sia i tradimenti effettuati che quelli solamente pensati. Questi possono interessare varie forme di appartenenza, in ragione della sensibilità personale e dell’intensità delle identificazioni. L’identità fisica, come forma dell’estetica sociale e del mutuo rispecchiamento; l’adolescente si sente sgraziato e si vergogna del suo corpo che muta, in cerca una forma adulta. L’identità familiare e le altre relazioni sociali significative; mentre modifica le alleanze in famiglia si misura con il gruppo dei pari, da cui si lascia assorbire in cerca di nuove identificazioni. L’identità sessuale, che può tradire sul piano della fantasia o della pratica attiva. L’identità religiosa o ideologica e i valori sociali, che spesso l’adolescente rinnega e in rapporto ai quali sviluppa fantasie sovversive. 1

In rapporto ad ognuno di questi ambiti il giovane prova vergogna e senso di colpa. Egli pensa di essere un mostro e sente di aver perso per sempre le qualità che l’hanno contraddistinto durante l’età infantile; si sente un altro agli occhi di se stesso e dei genitori. In realtà, conclude Ghezzani, è attraverso la pratica della sua diversità che l’adolescente scopre il suo potere di rendersi visibile:

«nessuno più di lui ha il gusto dell’”unicità”, dell’individuazione estrema. Egli è il figlio unigenito di se stesso, si sdoppia e si ama appassionatamente per essere fedele solo a se stesso e trovare, in questa solitudine, nuove forme di esistenza e di appartenenza» (Cfr., Ibidem, p. 110).

La crisi che investe l’adolescente mette in discussione temi che il mondo adulto dà per scontati, come la funzione delle regole sociali, il significato e il posto dell’amore nell’esistenza, il senso della libertà e il riconoscimento dei limiti. Potremmo dire che egli non solo vive una crisi, ma che egli è una crisi per il suo mondo, la cui attitudine a mutare è severamente messa alla prova.

Per questa ragione la sofferenza psicologica connessa all’adolescenza può essere vissuta dalla famiglia con estrema preoccupazione, fino al punto di provocare nei genitori reazioni di chiusura e di rifiuto verso il figlio. Possono essere intense al punto da interessare anche la relazione terapeutica e manifestarsi con l’assunzione di una posizione di ostilità verso il terapeuta. Si cammina su un terreno insidioso.

Riferimenti bibliografici

Ghezzani N., Crescere in un mondo malato. Bambini e adolescenti in una società in crisi, Franco Angeli, Milano, 2004;

Marcelli D., Braconnier A., 2004, Adolescence et psychopathologie, tr. it., Adolescenza e psicopatologia, Edra, Milano, 2017.

Scrivi ad Alessio Esposito

  1. Si veda Ghezzani N., Crescere in un mondo malato. Bambini e adolescenti in una società in crisi, Franco Angeli, Milano, 2004, in particolare pp. 89-110.